Il libro di Umberto Bardini, presentato a Mantova il 30 settembre scorso, presso la Casa del Mantegna, narra la vicenda umana e il sacrificio di due fratelli, Narciso e Pilade Bronzetti.Ma prima di addentrarci nell’avvincente racconto mi preme sottolineare il valore documentario di questo, come di altri testi, che si occupano di personaggi a prima vista, e spesso a torto, considerati minori, rispetto ai grandi o ai padri della Patria, e l’importanza della divulgazione ai fini della conservazione della memoria di fronte alla propagazione di una controstoria volta a screditare il Risorgimento nel suo complesso o singoli protagonisti del processo di unificazione. Il bersaglio preferito, Garibaldi, è dipinto spesso come un masnadiero o un pirata, finanziato dagli inglesi o dalla Massoneria. L’altro bersaglio è il più delle volte la politica di Cavour e dello Stato Sabaudo che avrebbe commesso dei crimini paragonabili solo a quelli delle SS nel secondo conflitto mondiale. Mi riferisco in particolare alla polemica montata e amplificata dai neoborbonici sul presunto massacro di Pontelandolfo, smontato pezzo per pezzo da Giancristiano Desiderio. Non vogliamo per questo nascondere le difficoltà degli anni che vanno dal 1861 al 1865, e anche oltre, col sorgere del brigantaggio prima e dell’emigrazione poi, dovuti certo alla miopia della classe dirigente del Regno Unitario che non seppe rispondere alle attese del popolo meridionale, ansioso di un riscatto economico e sociale, oltre che politico.
Ben vengano dunque libri come quello del Prof. Bardini che ci presentano esempi mirabili dell’eroismo di intere famiglie che si sacrificarono per l’ideale dell’Unità d’Italia, come i Fratelli Bronzetti oggetto del racconto che riporta uno spaccato di quel periodo in cui eroismo e ardimento erano pane quotidiano dei giovani più generosi e ci richiamano alla mente il sacrificio di altre famiglie risorgimentali, come i fratelli Cairoli e ancor prima i fratelli Ruffini di Genova o i fratelli Bandiera, figli di un ammiraglio della I.R. Marina austriaca, che avrebbero potuto condurre una vita tra agi e ricchezza e preferirono sacrificare la vita a Cosenza nel Regno delle Due Sicilie per portare soccorso ai fratelli calabresi che si erano ribellati ai Borbone.
E dopo questa doverosa premessa entriamo in medias res. Da Domenico Bronzetti e Caterina Strasse nacquero ben 8 figli (5 femmine e tre maschi). Narciso Bronzetti, il primogenito maschio, manifesta ben presto una propensione per la carriera militare, entrando nel 1840 a 19 anni nell’esercito austriaco di stanza a Crema. Avvicinandosi poi il 1848\1849, si dimette dall’esercito austriaco e con il fratello Pilade entra nella colonna mantovana, partecipando alla prima Guerra per l’Indipendenza e poi al seguito dei bersaglieri di Luciano Manara parteciperà alla difesa della Repubblica Romana, distinguendosi nel combattimento a Porta San Pancrazio. Caduta la Repubblica, col fratello Pilade tenta la fuga in Grecia, forse per arruolarsi nell’esercito ellenico contro i turchi, ma una tempesta li devia a Malta e da qui rientrano nel Regno di Sardegna con lo status di esuli, facendo ogni tipo di mestiere. Nel 1857 la famiglia si ricongiunge a Genova dove trascorrono due anni tranquilli. Anche il più giovane dei fratelli, Oreste, è lì. L’ultimo giorno di dicembre del 1858, nella Casa dello Zerbino, di proprietà dell’amico di Garibaldi, Gabriele Camozzi, nacque il famoso inno di Garibaldi, parole di Luigi Mercantini e musica di Alessio Olivieri, cantato quella sera stessa dai fratelli Bronzetti, da Yenny Odero e da Giovanni Chiassi. Pilade e Narciso entrano poi al seguito di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi, nella seconda Guerra per l’Indipendenza e Narciso si distingue nei combattimenti di Sesto Calende, a Varese, a Seriate, meritando gli encomi di Garibaldi. Dopo l’entrata a Como e Bergamo, giungono a Brescia il 13 giugno 1859, accolti trionfalmente. Si giunge così allo scontro di Virle Treponti, presso Rezzato il 15 giugno 1859 e l’attacco viene sferrato dal colonnello Turr, ungherese, entrato da poco nello Stato Maggiore. Narciso, al comando dei suoi, è costretto a seguirlo mentre avrebbe voluto fermarsi. Nello scontro a fuoco viene ferito prima ad un braccio e poi all’altro, infine colpito da un proiettile che gli trapassa il costato ed è ferito a morte. Dopo le prime cure a Virle in Casa Bassalini, viene portato a Brescia a casa Maffezzoli, dove lo raggiunge Agostino Bertani, il fedele medico garibaldino, che nulla può fare per salvarlo. Fa in tempo a ricevere la visita di Giovanni Ferrari che gli porta l’onorificenza di “maggiore” meritata a Segrate e la medaglia. Non riuscì neanche a leggere la lettera affettuosa di Garibaldi che lo definiva “Il Prode dei Prodi”. Morì il 17 giugno 1859 e fu tumulato al Vantiniano a Brescia. Pilade Bronzetti nasce a Mantova nel 1832, dopo il trasferimento della famiglia nella città di Virgilio. Dopo aver abbandonato gli studi liceali a soli 16 anni, nel 1848, si arruolò nella Legione Mantovana, dove conobbe Goffredo Mameli, Luciano Manara, Nino Bixio, Gabriele Camozzi e altri, partecipò col fratello Narciso alla prima guerra per l’Indipendenza e alla difesa di Roma, con il tentativo di fuga in Grecia. Rientrati nel Regno di Sardegna, non vengono riammessi nell’esercito sabaudo e Pilade rischia la deportazione in America per aver tentato di partecipare alla spedizione mazziniana in Lunigiana del 1853. Nel 1857 si ritrova col fratello a Genova, dove si riunisce con la famiglia e l’altro fratello, Oreste, in un periodo di tranquillità che durerà due anni, dove conoscerà il suo grande amore, Jenny Odero, che amerà fino alla fine. Stringe amicizia con altri patrioti e in particolare con Enrico Cosenz di cui divenne amico e compagno d’armi inseparabile. Proveniente dal meridione, di Gaeta, e allievo della Nunziatella a Napoli, Cosenz era amico di Carlo Pisacane, anche lui ufficiale uscito dalla Nunziatella, mazziniano convinto e fiducioso nella rivoluzione di popolo. Con alle spalle una vicenda sentimentale burrascosa che fece scandalo all’epoca, Pisacane si trovava anch’egli a Genova con la inseparabile Enrichetta Di Lorenzo e stava preparando la sfortunata “Spedizione di Sapri”. Nel 1859 Pilade si arruolò come tenente nei Cacciatori delle Alpi, al seguito di Garibaldi, con il fratello Narciso che sarà ferito a morte nella Battaglia di Virle Treponti. Assistette amorosamente il fratello negli ultimi giorni di vita e partecipò poi a tutta la campagna. Appena seppe della preparazione della Spedizione dei Mille, a seguito delle notizie che giungevano dalla Sicilia di una rivolta in atto in tutta l’isola, contattò prima il Comitato genovese e poi Bertani per saperne di più. Non riuscendo ad avere notizie precise si recò con un permesso a Firenze, dove pure non si sapeva nulla di preciso. Alla fine le notizie gli vennero da Bertani, a cui aveva chiesto di potersi unire alla Spedizione, ma era già il 5 maggio e Garibaldi era in procinto di partire la notte stessa. Così, dopo aver ricevuto notizie spiacevoli rispetto alla carriera nell’esercito sabaudo, inviò una lettera di dimissioni e, senza aspettare la risposta, il che lo rese disertore, si unì alla spedizione del gen. Cosenz giungendo in Sicilia direttamente a Palermo. Prese poi parte alla cattura di due piroscafi borbonici al largo tra Messina e Catania, che scortò fino a Palermo. Descrisse quest’impresa nei particolari in una lettera al fratello Oreste. Si distinse poi nella sanguinosa battaglia di Milazzo, la più dura per i garibaldini in Sicilia, che persero ben 800 uomini, contro 150 borbonici. Lo stesso Cosenz si congratulò con lui promettendogli promozione e medaglia. La prima gli giunse alla vigilia della morte e la seconda alla memoria, anche per l’eroico comportamento tenuto a Castel Morrone nell’ambito della Battaglia del Volturno, dove morì il 1 ottobre 1860. Le sue spoglie furono custodite per 40 anni nella casa di Matteo Renato Imbriani e poi tumulate solennemente a Trento nel 1921. L’episodio della sua morte eroica, alla testa di 300 bersaglieri, fu dipinto dal pittore Luigi Toro, anch’egli presente alla battaglia del Volturno, nel dipinto intitolato “La morte di Pilade Bronzetti a Castel Morrone”.
Maria D’Arconte